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Alessia ARGIOLAS

COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO

Estratto da "Comunicazione e linguaggio" (Cap. 1 Tesi di Laurea - “The double bind: vincoli e paradossi nella prospettiva relazionale” in Scienze dell'Educazione)

PREMESSA

L'uomo e il suo comportamento sono da sempre il prodotto della presenza simultanea degli elementi di carattere biologico, psicologico, affettivo e sociale.

Da questo deriva il fatto che la comunicazione deve essere considerata, in tutte le sue forme, un fattore determinante degli scambi reciproci tra individui.

Se da una parte è vero che l'uomo comunica verbalmente attraverso apparati biologici esclusivi della sua specie (corde vocali, area cerebrale del linguaggio…), è anche vero che l'estrema artificiosità ed articolazione della comunicazione umana, deriva da un'acquisizione culturale che va ben oltre la trasmissione genetica e viene inscritta nella storia di ogni uomo; in modo particolare nel suo gruppo sociale di appartenenza.

Comunicare significa rendere comune e deriva dall'aggettivo "comune", la cui etimologia, da cum (con) e munus (incarico), sta propriamente per "che compie l'incarico insieme con altri" [S. Marsicano (a cura di), Comunicazione e disagio sociale, Ed. F. Angeli, Milano, 1987, pp. 215, 216].

LE COMPONENTI DELLA COMUNICAZIONE

Possono essere date molteplici definizioni di comunicazione, ma qui prenderò in esame quella del linguista di origine russa Roman Jakobson, il cui modello conduce ad una sommaria struttura della comunicazione. Tale modello è stato ampiamente criticato, soprattutto per la rigidità e la riduttività che lo contraddistingue.

Tuttavia esso ci offre un utile punto di partenza per definire la comunicazione; per cercare di schematizzare l'atto comunicativo in modo tale da isolare quelle che sono le sue parti costituenti.

 

CANALE --------- CONTESTO

EMITTENTE ------ MESSAGGIO ------ RICEVENTE

CODIFICA -------- DECODIFICA

(CODICE)

[Ricci Bitti, Zani, La comunicazione come processo sociale, Il Mulino, Bologna, 1983, pp. 23, 24].

L'atto comunicativo ha il compito di rendere comune l'oggetto della comunicazione tra due o più interlocutori. Esso deve essere inteso come la trasmissione di informazione attraverso messaggi, da un emittente a un destinatario.

Perché tale processo avvenga, è necessario che le componenti che formano il messaggio (i segni) siano costruite secondo certe regole e combinate secondo altre; tali regole formano il codice.

Se non fossero presenti queste regole, la comunicazione risulterebbe alquanto difficoltosa.

La comunicazione umana si profila come un processo interattivo in cui ci si capisce in relazione a situazioni, interessi, attese e circostanze [S. Gensini (a cura di), Manuale della comunicazione, Ed. Carocci, Roma, 1999, p. 25].

All'interno di un atto comunicativo non ci sono solo un emittente e un ricevente; bensì, come ci fa notare Jakobson, una situazione comunicativa è caratterizzata anche e soprattutto dal messaggio che viene trasmesso, dal codice mediante cui è codificato tale messaggio, dal canale (mezzo o strumento fisico della trasmissione del messaggio), dal contesto e dal contatto tra emittente e ricevente [Enciclopedia Garzanti di filosofia, p. 195].

La comunicazione può quindi essere intesa come il processo che consiste nel trasmettere o nel far circolare delle informazioni, cioè un insieme di dati tutti o in parte sconosciuti al ricevente prima dell'atto comunicativo.

Va inoltre sottolineato che:

(a)     la relazione tra emittente e ricevente è bilaterale e reversibile, nel senso che ciascun partner presenta la possibilità di assumere anche il ruolo dell'altro;

(b)     poiché il messaggio è considerato quale portatore di significato, allora esso conduce all'azione;

(c)     nell'atto della comunicazione l'emittente e il ricevente si adattano l'uno all'altro e alla situazione generale per trasmettere il significato;

(d)     la situazione fondamentale della comunicazione è il dialogo, ma nella realtà concreta la relazione tra emittente e ricevente si trova integrata in una molteplicità di reti. Ogni relazione è cioè influenzata dall'esistenza di una vasta e complessa relazione sociale;

(e)     la comunicazione umana è un atto guidato dall'intenzionalità.

Il momento dell'emissione di un messaggio è caratterizzato dalla necessità di trasformare un contenuto psichico in un fatto obiettivo per trasmetterlo all'interlocutore e per far sì che questo ultimo lo possa comprendere [Ricci Bitti, Zani, op. cit. p. 26].

Il secondo momento dell'atto comunicativo è costituito dalla decodifica del messaggio trasmesso: si tratta di un processo dinamico e complesso che comporta una ricca attività cosciente, attenzione e sforzo per raccogliere tutti i dati necessari alla comprensione di una espressione.

Una volta percepito e decifrato il messaggio (verbale o meno) lo si deve ricostruire. La ricezione implica una continua creazione, consistente nel tentativo di ricercare il significato inteso dall'emittente. Quindi, accanto alla percezione e al riconoscimento dei segni, si ha anche l'interpretazione di tale messaggio.

Ma non sempre si arriva alla percezione esatta del messaggio trasmesso, in quanto questa può venire alterata da elementi di disturbo, quali ad esempio componenti emotive, stati patologici che compromettono l'esito della comunicazione.

Poiché il problema della malattia mentale da sempre coincide con quello del rapporto tra individuo e organizzazione, allora molto spesso, contesto e aspettative agiscono in modo integrato, facendo sì che percepiamo le cose e le persone come ci aspettiamo di trovarle. Si tende cioè ad interpretare i segni in modo che risultino compatibili con le nostre credenze.

A loro è stata data quindi notevole importanza in ambito comunicativo.

IL LINGUAGGIO

L'aspetto determinante del linguaggio è quello di essere un sistema di comunicazione inserito in una situazione sociale, quale strumento di legittimazione della realtà esistente.

Il linguaggio è una peculiarità tipicamente umana, riconosciuta come esclusiva dell'uomo, per cui la vita quotidiana è soprattutto vita con e per mezzo del linguaggio che si condivide con gli altri esseri sociali.

Stando a quanto detto finora, non si può quindi guardare al linguaggio riferendosi solo a quelle che sono le sue caratteristiche tecniche, ma lo si deve inserire in un più ampio contesto.

Storicamente il linguaggio è stato un termine usato sia per indicare l'insieme dei codici umani che trasmettono, conservano ed elaborano informazioni; sia per designare la facoltà che si manifesta attraverso messaggi codificati. Come linguaggio si definiscono inoltre fenomeni non sempre consci, di espressione e comunicazione a basso grado di codifica o di trasgressione o di invenzione di codici

Il filosofo statunitense Charles Morris ha proposto tre dimensioni di analisi del linguaggio, definite rispettivamente: sintattica, semantica e pragmatica, a seconda che si considerino le relazioni:

(a)     tra le unità del linguaggio;

(b)     tra le unità del linguaggio e i significati;

(c)     tra le unità del linguaggio e gli utenti.

Ciò che qui interessa ai fini della comprensione dell'atto linguistico propriamente umano, è la comunicazione intesa specificatamente come pragmatica; ossia la comunicazione come forma di relazione interpersonale, che si stacca dall'ambito puramente metodico e va ad interessare anche l'ambito metacomunicativo.

Dobbiamo appunto tenere conto del fatto che i significati dei termini letterali spesso suggeriscono qualcosa che letterale non è. Qualcosa che non dipende dal linguaggio in quanto tale, ma che va invece ricercato in quella che è la nostra intenzione di significare. Per fare un'analisi dei nostri enunciati, infatti, non ci si deve fermare al semplice proferimento.

La formazione del linguaggio richiede tre condizioni:

(a)     affettiva: la quale esprime il desiderio di voler comunicare;

(b)     intellettiva: è la possibilità mentale di connettere, ricordare e ordinare le parole;

(c)     sensomotoria: possedere gli strumenti di audizione e fonazione.

In assenza anche di una sola di queste condizioni, il linguaggio assume carattere patologico. È proprio quello che vogliono dimostrare lo psichiatra ed antropologo statunitense Gregory Bateson e il suo gruppo di ricerca quando, nel 1962, indicano quale aspetto più importante del loro lavoro, l'adozione di un approccio generale basato sulla comunicazione per studiare una vasta gamma di comportamenti umani, inclusa la schizofrenia [AA.VV., Comunicazione e linguaggio, Ed. F. Angeli, Milano, 1988, pp.20, 21].

Secondo loro la comunicazione è qualcosa di complesso, all'interno della quale non c'è mai un unico messaggio, ma ci sono sempre due o più messaggi in relazione tra loro, di livelli differenti e spesso trasmessi da canali diversi: voce, tono, movimento, contesto…

La realtà della comunicazione, come già detto prima, va oltre le manifestazioni verbali, investendo l'intero comportamento, nel quale ogni atteggiamento osservabile ha valore di messaggio.

Quando noi vogliamo esprimere qualcosa, oltre all'informazione che trasmettiamo, nella comunicazione c'è sempre anche un aspetto metalinguistico, il quale fornisce le istruzioni su come intendere l'enunciato. Gli enunciati infatti non sono mai neutri da un punto di vista emotivo: fa parte dell'enunciazione il tipo di rapporto che vogliamo instaurare con il nostro interlocutore. E questo rapporto non è qualcosa che si congloba all'enunciato, bensì è qualcosa insita nell'enunciato stesso, il quale assume una doppia valenza. Secondo Bateson molte forme di schizofrenia sono date proprio da messaggi dove l'aspetto superficiale contrasta con quello metalinguistico.

Di fatto viene operata una distinzione fra il pensiero diretto e non diretto: il primo segue la logica della lingua (grammatica, sintassi, semantica); il secondo invece ha alla sua base i sogni, le fantasie, le vicende del mondo interiore.

La lingua esercita un notevole influsso su stati d'animo, opinioni, comportamenti e decisioni.

LA METACOMUNICAZIONE

Il noto psicoterapeuta statunitense Paul Watzlawick, facente parte del Mental Research Institute di Palo Alto, definisce comunicazione qualsiasi comportamento che accade in presenza di un'altra persona. Secondo il suo punto di vista non occorre quindi l'intenzione di comunicare: dal punto di vista della pragmatica non esiste all'interno del sistema di interazione la possibilità di non comunicare.

Tutto il comportamento è comunicazione e tutta la comunicazione influenza il comportamento.

Non importa quindi che la comunicazione sia volontaria o meno, che i partecipanti se ne rendano conto oppure no: essi in ogni caso si influenzano tra loro inviando informazioni tramite il proprio modo di comportarsi.

Come già detto in precedenza, ogni comunicazione ha due aspetti: uno relativo al contenuto del messaggio, alla notizia trasmessa; l'altro riguardante il modo in cui tale messaggio deve essere assunto, riguarda quindi la relazione che esiste tra i comunicanti. L'aspetto relazionale costituisce proprio la comunicazione sulla comunicazione, cioè la metacomunicazione.

La capacità di metacomunicare in modo appropriato non solo è la conditio sine qua non della comunicazione efficace, ma è anche correlata al problema della consapevolezza di sé e degli altri.

Metacomunicare comporta quindi due operazioni distinte, anche se talvolta connesse:

(a)     rendersi conto che il proprio sistema di codifica linguistica può essere diverso da quello altrui;

(b)     evidenziare gli aspetti relazionali propri dello scambio comunicativo.

La metacomunicazione avviene frequentemente attraverso segnali impliciti e non verbali o analogici, secondo la terminologia informatica (intonazione della voce, gesti, espressioni facciali). Tali segnali, invece di corrispondere ad osservazioni denotative sugli oggetti, contribuiscono a definire il contesto di un'interazione.

Nel testo Pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick e i suoi collaboratori stabiliscono un nesso tra comunicazione e comportamento, nel senso che, ogni modo di esprimersi, compreso il silenzio, esprime un elemento comunicativo.

"L'attività e l'inattività, le parole e il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro" [Watzlawick, Beavin, Jackson, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, p. 41].

Questo è indubbiamente il punto di partenza dal quale gli studiosi di Palo Alto ottengono quello che sarà poi uno dei postulati basilari della loro teoria, e che Watzlawick fa proprio, immettendo fra i suoi assiomi:

"Non si può non comunicare" [Ibidem, p. 43].

Da questo prendono avvio anche i successivi assiomi, di cui il secondo, accettando l'impostazione di Bateson, recita che:

"Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione" [Ibidem, p. 46].

Questo significa che ci muoviamo sempre su due diversi livelli comunicativi.

Il primo aspetto della comunicazione è quello di contenuto, il quale trasmette informazioni su fatti, opinioni, sensazioni ecc., mentre il secondo, l'aspetto di comando, definisce la natura della relazione fra i comunicanti.

Una comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma impone anche un comportamento.

Il terzo assioma recita che:

"La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti" [Ibidem, p. 51].

Questo assioma prende in considerazione l'interazione tra comunicanti e arriva a dire che coloro i quali partecipano all'interazione, introducono sempre qualcosa di importante detta punteggiatura delle sequenze di comunicazione.

Il quarto assioma recita che:

"Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico" [Ibidem, p. 57].

La comunicazione numerica concerne le parole, i nomi ecc., mentre quella analogica concerne i gesti, il linguaggio non verbale, le posizioni del corpo, le espressioni del viso.

Infine il quinto assioma recita che:

"Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza" [Ibidem, p. 60].

Nel primo caso i modelli tendono a rispecchiare il comportamento dell'altro (interazione simmetrica); nel secondo caso il comportamento del partner completa quello dell'altro.

Da quanto detto finora si evince che l'impossibilità di non comunicare rende comunicative le situazioni impersonali che coinvolgono due o più persone.

Qualsiasi sia il mezzo usato per comunicare, esso rappresenta comunque l'asse portante dei rapporti che si instaurano tra gli individui.

La comunicazione cioè permette di aprire porte che fino ad allora erano rimaste chiuse, anche se talvolta, nel varcare queste soglie, ci si imbatte in qualcosa di imprevisto, rintracciabile molto spesso nelle antinomie espresse dai comunicanti.